lunedì 7 giugno 2010

LA FOTO MIGLIORE

Eccola qua. E’ la foto migliore del viaggio di quest'anno in Tunisia.













E' la foto che non ho fatto; la foto di lui, uno dei personaggi più interessanti, diciamo anche affascinanti, che ho incontrato al villaggio. Il suo soprannome è quello del famoso terrorista. Quello che non si sa dov’è, se c’è, se c’è mai stato, se è vivo, morto, se da anni vive nelle grotte del Pakistan o chissà dove. Già nel fatto che gli abbiano affibbiato quel soprannome vedo come un’ironia in questa gente, osservante ma senza esagerare. In effetti sua moglie è l’unica del villaggio che esca così. Invisibile. Nel senso che non si vede nulla, nemmeno gli occhi, nascosti dietro una griglia di stoffa, come non si vede un centimetro di pelle. Peraltro dicono tutti che lui è molto bravo con lei. Però il suo modo di essere gli crea problemi non da poco; tipo il fatto di non potere praticamente lavorare, tempo fa lavorava in un bar del villaggio, venne la polizia e disse: “se non lo fate fuori, vi chiudiamo il bar”; ci vanno spesso i poliziotti da lui, si dice che gli mettano la casa in aria, si dice che lo picchino, di sicuro lo marcano stretto; come tutti quelli in odore di estremismo che, se esagerano, o se l’autorità pensa che esagerino, semplicemente spariscono, come quel professore del paese vicino, portato via un giorno e mai più visto. Ingoiato dal deserto.
L’anno scorso siamo stati invitati a casa di "Bin Laden", sua moglie aveva appena partorito; le donne entrarono a vedere il bimbo e la Signora, noi maschi fuori in cortile a parlare con lui.
Un giorno ci siamo “sfidati” per mezzo pomeriggio. “dai, fatti fare una foto, solo una, anche da dietro!”, “solo se tu ti fai circoncidere!”, poi mi chiama in un angolo e sottovoce mi dice: “sai, anche sessualmente è meglio…”, allora io lo tiro ancora più nell’angolo e gli dico che sono soddisfatto così, con il mio pezzetto di pelle in più. E giù a ridere, tutti e due.
Avrei potuto fargliela di sorpresa o di nascosto, quella foto, ma non mi andava. Non ci voleva niente, lui era seduto la davanti al bar, io dietro al muro all’ingresso di casa, mettevo la macchina foto fuori e scattavo senza nemmeno guardare, lo beccavo di sicuro. Ma non l’ho fatto, perché lui non gradisce e io lo rispetto. A un certo punto, con la scusa di discutere di foto di qua e circoncisioni di là, si è avvicinato un po’ troppo all’entrata di casa, dove Ouassila stava depilando le gambe di Moni con la ceretta. Quindi la mamma di Monia, Habiba, lo ha scacciato a male parole. Si è allontanato zitto zitto verso il bar. Poi dopo un po’ mi fa cenno di avvicinarmi e mi chiede del mal di schiena di mio suocero, che in effetti si è visto poco in giro per il villaggio, proprio per quel dolore. Allora gli dico: “se ti fai fare una foto, ti dò la cartella sanitaria di mio suocero!”, e lui ride con i suoi occhi svegli. Dopo un po’ mio suocero arriva e parlano sul serio del mal di schiena, perché lui ha studiato un casino, in Francia ma non solo, è specializzato in medicina alternativa, e sa un mucchio di cose, uno di quelli che staresti ore ad ascoltare. Poi, a un certo punto, saluta e se ne va verso il tramonto, verso casa sua, con quell’andatura ciondolante...

1 commento:

Edm ha detto...

Ciao Cello,

direi che il post di per sé è una bella fotografia. Ieri sera ho visto "Il tempo che ci rimane" di Elia Suleiman e nel tuo post ho ritrovato molto della surreale atmosfera del film.

Tornando alla realtà, invece, ti segnalo il caso di Abou Elkassim Britel, che forse già conosci: cittadino italiano arrestato in Pakistan nel 2002, rapito e condotto segretamente in Marocco dalla CIA, torturato, rilasciato e poi riarrestato mentre era sulla via del ritorno. Tuttora in carcere in Marocco: questo è il blog scritto da sua moglie. E' un caso di cui non parla più nessuno: http://www.kassimlibero.splinder.com/